sabato, gennaio 10, 2015

PANDA

Prima di conoscere mia moglie convivevo con una bella ragazza, Melissa. Una sera di aprile, mentre eravamo ancora avvolti dalla nube di zucchero e romanticismo che è il primo anno di una relazione, lei decise che voleva vedere come ero da bambino. Così guidammo fino a casa di mia madre, io le schioccai un bacio sulla guancia mentre lei si aggiustava la stola di cotone e frugava con attenzione fra gli scatoloni in cantina, per poi riemergere con un grosso libro azzurro su cui campeggiava il mio nome. Noi lo prendemmo, ringraziammo e tornammo a casa. Melissa iniziò a sfogliare l'album, ridendo e chiedendomi di raccontarle le mille parole che quell'immagine doveva valere. Quando arrivammo ai diciotto anni, lei prese in giro i miei pantaloni a vita alta e gli occhiali tondi, volle sapere come mi ero rotto il braccio quell'estate in Calabria e, alla fine, additò una vecchia foto di gruppo, interessata ai nomi dei protagonisti. Con un sorriso ed un braccio attorno alle sue spalle, snocciolai i nomi dei miei amici d'infanzia come se quel tripudio di jeans, pelli abbronzate e barbette timorose fosse stato immortalato solo ieri. Quando indicai un ragazzo accovacciato in prima fila con altri due miei amici e lo battezzai 'Panda', Melissa mi guardò, la guancia appoggiata sulle manine intrecciate e mi chiese 'Perché Panda?'. Io rimasi un attimo interdetto: non sapevo risponderle. E non era perché quasi vent'anni di birre, baci e botte avessero seppellito quel ricordo come la terra una bara: non lo avevo mai saputo. Quando avevo conosciuto Panda ero in quell'età in cui più si fa finta di sapere più si sembra fighi, e quando lui mi aveva stretto la mano identificandosi con quello strano appellativo, non avevo neanche pensato a chiedergli una spiegazione. Inoltre, lui era una ventina di centimetri più alto di me, e sinceramente, della storia dietro il suo soprannome non me ne fregava niente, al tempo. Melissa sporse il mento in avanti e socchiuse gli occhi, 'Non fa niente!' rise 'Era solo curiosità' e girò pagina. Però la curiosità è contagiosa, e io sentivo già i suoi germi entrarmi nel cervello ed infettare ogni mia sinapsi. 'Aspetta!' quasi urlai. Tornai indietro e sfilai la foto incriminata dagli angoli di carta che la imprigionavano, poi mi alzai e mi sedetti sul divano opposto, come se allontanarmi da un altro cervello avrebbe fatto funzionare meglio il mio. Osservai la foto, dubbioso. Il ragazzo era alto e magro, con il collo lungo e gli zigomi sporgenti. Gli occhi, appena infossati, erano deformati dal sorriso e mi guardavano da dietro un paio di lenti sottili. Il suo aspetto non ricordava neanche vagamente quello di un grosso ed imponente panda, né tuttavia gli era tanto opposto da poter essersi guadagnato il soprannome a colpi di ironia. Melissa disse che andava a letto ed io mi alzai per seguirla, lasciando la vecchia foto sul cuscino del divano.
Quando mi svegliai, il giorno dopo, però, la foto era ancora lì come il mio desiderio di scoprire l'origine del soprannome. La afferrai in fretta e la nascosi nel portafoglio, poi poggiai distrattamente le mie labbra su quella di Melissa e mi diressi a lavoro. Una volta in ufficio estrassi la foto, la lisciai per bene e mi misi a fissarla, il viso appoggiato sulle braccia conserte. Poi frugai nei miei cassetti, trovai un foglio a righe e scrissi 'PANDA' tutto maiuscolo in cima. Lo sottolineai tre volte. Allora, quali sono le caratteristiche di un panda? I colori: bianco e nero. Tornai alla foto, Panda sfoggiava una zazzera bionda e una pelle abbronzata, gli occhi che erano solo due puntini nell'immagine, me li ricordavo di un azzurro stanco. Allora cosa. Cos'altro è bianco e nero? Guardai il peluche a forma di piccolo toro granata che sedeva pigro di fronte al portapenne. No, l'avrei saputo, mi dissi. Soprattutto se amava tanto la sua squadra da averne ricavato un soprannome, soprattutto se quella squadra era... rabbrividii. La Juve. Possibile che fossi stato amico di uno Juventino per così tanto tempo? No, anche gli amici che me lo avevano presentato erano tifosi del Torino, persino più di me.
Quella sera fui costretto a mangiare indiano perché dissi che avevo voglia di esotico e Melissa odia il cinese. Mentre lei era in cucina ad ingurgitare chili di pollo al curry, io mi ritirai in salotto con la mia lista. I panda di solito sono dolci e coccolosi, giusto? Scrissi 'abbraccio facile' sotto 'bianco e nero' e lo depennai proprio come avevo fatto con il primo. Panda non parlava molto, anzi, era scorbutico e a volte grugniva invece di rispondere 'sì' o 'no'. Cercai su Google 'verso del panda' ma scoprii si trattava  più di un ruggito soffocato che di un grugnito. Forse era per il suo alito. I panda mangiano solo eucalipto, no? Mi sforzai di ricordare se Panda avesse un alito particolarmente profumato o se fosse un fermo sostenitore delle caramelle Halls e mi sforzai così tanto che mi ricordai che quelli che mangiavano solo eucalipto erano i koala, non i panda.
Praticamente divenne un'ossessione. Ci pensavo continuamente. Quando Melissa sbatteva la porta e si chiudeva in camera riflettevo se Panda avesse un comportamento simile, e se fosse accostabile a quello dell'animale (Risposta: no, Panda non sbatteva mai le porte). Passavo le sere a cercare notizie su quei bestioni pelosi (No, il mio amico non era neanche particolarmente peloso) e a confrontarle con la foto e i miei ricordi. Una sera, dopo una brutta litigata, Melissa aveva tutto il trucco colato, il mascara sciolto dalle lacrime che creava un'ombra scura sotto gli occhi sporgenti. Subito la lampadina si accese: riesumai la foto e cercai le occhiaie del mio amico, purtroppo però quasi invisibili sul volto abbronzato. Alzando lo sguardo e rincontrandolo nello specchio di fronte vidi con delusione che di occhiaie erano molto più vivide le mie, le urla di Melissa che facevano da sottofondo.
Fu in autobus invece che mi venne in mente la pista dell'occhio nero: forse aveva ricevuto un pugno tanto violento da lasciargliene uno per un bel po', ed il soprannome era rimasto anche dopo che l'occhio era guarito. Ma Panda sembrava un tipo che se ne stava sulle sue, non gli piaceva mettersi in mezzo.
Mentre tornavo a casa con una busta di cibo cinese in mano, invece, pensai all'origine asiatica dell'animale, ma i colori chiari del mio amico eliminavano anche questa teoria.
Una volta Melissa mi urlò addosso così forte che quasi ruggì e subito mi venne in mente una mamma orsa che cerca di difendere i suoi piccoli. Sapendo che orsi e panda fanno parte della stessa famiglia, subito presi in considerazione l'ipotesi di un attaccamento eccessivo ai propri familiari da parte del mio amico. Ma Panda aveva appena 18 anni, e, come già avevo ricordato, non era un tipo molto espansivo.
La connessione nel mio nuovo appartamento era lenta, ma non così tanto da fermare le mie ricerche. Ci furono quattro giorni in cui ero convinto Panda facesse parte di un'organizzazione mafiosa. Tutti avevano soprannomi nella mafia, no? Forse il suo era dovuto ad un particolare modo di lavorare, o di uccidere. Me lo immaginai muovere dei passi goffi attorno ad un potenziale informatore, avvicinare la faccia a punta al suo orecchio e sussurrare 'Dì che è stato il Panda' mentre lasciava che la lama del suo coltello a serramanico si facesse strada nelle membra dell'altro. In quei quattro giorni bevvi quindici RedBull e dormii tre ore, impegnato com'ero a setacciare il web in cerca di prove che validassero la mia teoria.
Alla fine, decisi che forse la cosa più semplice da fare fosse trovare il diretto interessato e porgergli la fatidica domanda. Così lisciai la foto che aveva un po' sofferto negli scatoloni e la scannerizzai. Poi tagliai, ingrandii e misi a fuoco. Infine, feci una ricerca per immagini su Google che, ovviamente, non  ammise nessun risultato utile, se si eliminano le foto di patate con gli occhiali, anche perché la faccia di Panda era composta da qualcosa come tre pixel.
Quello era il mio ultimo asso nella manica, così rinunciai. La cosa importante era che nessuno nominasse l'animale in mia presenza, e che evitassi lo zoo, e stavo bene.
Un paio d'anni dopo, mentre camminavo verso il bar dove avrei conosciuto la mia attuale moglie, incontrai Alessio, un mio amico d'infanzia. Lo salutai e ci fermammo a chiacchierare, le smorfie benevole che disegnavano linee profonde agli angoli degli occhi. Ad un certo punto, mi tornò in mente. 'Alessio, per caso sai da cosa derivasse il soprannome di Panda? Me lo sono chiesto un po' di anni fa, ma non me lo ricordavo'. Ovviamente evitai di menzionare tutte le lattine di RedBull e che per quasi un anno la mia cronologia comprendeva soprattutto viste al sito 'www.pandaeio.it'. Alessio annuì, mentre deglutiva un sorso d'acqua ed io sentii il mio cuore iniziare a battere. Ero come un bambino la mattina di Natale, la felicità impregnava quei secondi che mi separavano dalla verità, dal conoscere, finalmente, la soluzione di quell'enigma su cui tanto avevo ragionato. Mi sembrava che gli occhi mi stessero per uscire dalle orbite, la bocca deformata nel principio di una risata sollevata che sapevo stava per essere giustificata. Alessio parlò. 'Non era un soprannome: sua madre era una hippy e lo aveva chiamato così, proprio Panda. Anzi che a lui è andata bene che ha un fratello che si chiama tipo Armadillo, che ne so. La gente è matta, eh!'

venerdì, gennaio 02, 2015

BIOGRAPHIA

Io sono una da frasi ad effetto.
Sono una a cui piacciono le citazioni, una che resta intrappolata in pochi caratteri, una che pensa prima al titolo che alla storia. Amante dell'ermetismo, suppongo possiate chiamarmi. Ma sono anche il tipo di persona che pensa alla sua biografia prima ancora di essersi diplomata, che può essere considerata arrogante, ma che semplicemente ci mette molto ad addormentarsi. E così, finalmente, un giorno, la vidi: la copertina. Un pavimento di legno bianco scrostato prende tutta la pagina, sopra, una polaroid che ancora non si è sviluppata, luminosa e misteriosa perché potrebbe aver immortalato qualunque cosa. A troneggiare su questo paesaggio così minimale il mio nome e tre lettere in Times New Roman: Bio.
Bio, vita, sono molto affascinata da questa parola. Mi piace il fatto che sia antica, ma allo stesso tempo di uso comune fra gli abitué dei social network. Che tu sia uno stoico greco con la toga drappeggiata addosso o un americano di quattordici anni che mangia troppi hamburger, comunque sia bio significa vita per te. Certo, la sfumatura è diversa, specialmente considerando che oggi per bio si intendono poche parole, una frase, per rappresentare la tua persona, e che molti addirittura optano per una semplice emoticon. Comunque, è una parola che è sopravvissuta alla polvere ed ora si erge scintillante e beffarda sulle sue sorelle dimenticate. I motivi per cui questo piccolo angolo di internet non si chiama 'Bio' sono però meno poetici. Innanzitutto, l'indirizzo non era disponibile. A quanto pare uno spagnolo appassionato di biologia e di punti esclamativi è arrivato prima di me (Ho controllato). Secondo, avevo paura di essere aggredita da una valanga di vegani delusi dalla povera presenza di quinoa e latte di mandorla su questo blog. Così mi sono ritrovata costretta a dover aggiungere 'Graphia' e la cosa non mi dispiace. Grafia significa scrittura, e qui è proprio quello che stiamo facendo: scrivere. Inoltre, essendo qualcosa che idealmente dovrei continuare a fare per almeno un anno, mi sembra anche un nome azzeccato. 'La Scrittura della Vita', ossia ciò che scrivo mentre vivo, almeno così la interpreto io. Mi piace anche appellarmi al significato che erroneamente ha assunto la parola 'Bio' nella recente ondata di succhi di cavolo e braccialetti dell'equilibrio: sano. Una scrittura sana, perché priva di influenze o restrizioni. Pura, naturale.
Per quanto riguarda gli slash, il ph, l'accento e il mezzo corsivo, poi, semplicemente faceva fico.